venerdì 12 ottobre 2012

La spesa di Nico Panzai.


La spesa di Nico Panzai.



Non gli erano mai piaciuti i supermercati. Tutta quella folla vociante, quell’accalcarsi di persone che facevano incetta di scatolette, sughi pronti, piatti precotti, quell’incrociarsi di carrelli che a volte andavano troppo veloci e rischiavano di urtarlo, altre volte si ammassavano lungo le corsie impedendogli il passaggio, tutta quella confusione lo rendeva nervoso. E Nico Panzai amava la tranquillità. 
No, il commercio di massa non faceva per lui, che era abituato a prendersi tutto il tempo occorrente per selezionare gli ingredienti migliori, necessari per la sua grande passione: la cucina. Quel giorno si sentiva particolarmente esigente vista l’eccezionalità della serata che gli si prospettava, perciò decise di prendersela comoda, fare una spesa di qualità e nel frattempo godersi ogni passo che lo avvicinava alla realizzazione del suo proposito. Diresse la sua automobile verso la campagna e guidò fino all’abitazione di un contadino dal quale si serviva spesso. Selezionò due cipolle e due carote, chiese un poco di alloro e di timo freschi per il piatto forte, e due patate, queste ultime le avrebbe semplicemente lessate, come contorno. Si fece consegnare otto mele, le migliori disponibili, che intendeva utilizzare per preparare una Tarte Tatin, poi ripartì.  
Era la sua auto una Aston Martin DB4 Vantage Convertible del 1961, con la quale si muoveva placidamente nelle giornate di sole dopo averne abbassato la capote, in modo da potersi abbronzare e contemplare più compiutamente la natura e il cielo azzurro. Di auto come quella ne esistono solo settanta esemplari e lui aveva voluto averne una, incurante del prezzo. D’altronde i suoi genitori gli avevano lasciato in eredità una fortuna enorme, dopo averlo abituato a vivere nello stile e nel lusso. Abitudine che egli una volta raggiunta l’età adulta aveva elevato a livello di arte: non considerava nemmeno l’idea di entrare in contatto con qualcosa che non fosse espressione dell’eccellenza. Solamente l’orologio più prestigioso, unicamente i tessuti più pregiati, solo il design più raffinato, nient’altro che gli alberghi più rinomati. Era divenentato un vero e proprio sibarita.
Giunse alla seconda tappa del suo viaggio, un’enoteca ricavata all’interno di un castello medievale dove aveva fatto arrivare una bottiglia di Chateauneuf du Pape da usare per la cottura della portata principale: una Daube Provencale. Prese la bottiglia e la insaccò in fretta. Prestò più attenzione ad un altro acquisto che lo intrigava maggiormente: uno Chateau Cheval Blanc del 1998 che avrebbe bevuto in un ampio calice dopo averlo fatto respirare nel suo prezioso decanter soffiato a bocca. Esaminò con soddisfazione l’etichetta, già pregustando il sapore corposo di quel vino eccezionale, perfetto per esaltare il gusto del suo piatto.
Improvvisamente gli sovvenne che non aveva ancora scelto a quale compositore affidare la colonna sonora per quella serata, valutò fra sé e sé alcune opzioni e rimase un po’ di tempo indeciso fra Berlioz e Messiaen, per poi risolversi in favore del secondo.
La sua passione per la musica classica era grande, nonostante fosse nata in lui quando aveva già trent’anni. Durante le lunghe nottate solitarie che passava nel suo enorme, vuoto palazzo, quando, mentre provava ad addormentarsi, ascoltava i dischi che collezionava la sua povera madre. Dopo pochi giorni si accorse che le arie di Mozart e di Puccini non gli provocavano nessuna sonnolenza, anzi, lo mettevano in uno stato di euforia e in certi casi addirittura di esaltazione. Così cominciò ad ascoltar musica di giorno, e inspiegabilmente riuscì a riposarsi di notte. E poi quelle musiche gli ricordavano la sua mamma e i momenti felici che avevano passato assieme; gli permettevano di dimenticare per qualche ora l’iniqua morte che la povera donna aveva dovuto subire, e la terrificante immagine rimasta inguaribilmente marchiata nella sua mente, da bambino, quando aveva trovato la sua genitrice smembrata a colpi di spada dal padre, impazzito di gelosia, il quale prima di spararsi un colpo in testa lo guardò e gli disse: “Ricordati figliolo, le donne sono bestie, meno di bestie”.
Anche in quel momento, mentre guidava con un gomito poggiato alla portiera, fischiettava un’aria del Nabucco e così sopiva il ricordo. 
Prima di fare rientro a casa, era passato al laboratorio di un vecchio vasaio che lavorava ancora con il tornio a pedale, qui ritirò una cocotte che aveva ordinato tre settimane prima. 
Eh, sì. Nico Panzai, quando preparava una cena, curava ogni dettaglio, soprattutto andava orgoglioso della sua stoviglieria: tutti pezzi unici, rigorosamente artigianali e adeguati alla pietanza che sarebbe stata servita. Ognuno di quei recipienti veniva utilizzato una volta sola, per poi essere riposto in una elegante vetrina assieme alla ricetta che Nico aveva preparato, scritta da lui stesso su di una pergamena di vitello, con grafia curata, mediante l’uso di penna d’oca e calamaio. Quella sera avrebbe aggiunto il ventiquattresimo pezzo alla sua collezione, ma prima, naturalmente, c’erano molte cose da fare: apparecchiare la tavola secondo i dettami del Bon Ton, stappare il vino, pulire le verdure, e scongelare la carne.
Scese nella sua ampia cantina e prelevò dal congelatore un sacchetto di carne che aveva messo lì già da tempo, e quindi doveva essersi frollato a sufficienza. Mentre risaliva le scale lo colse un po’ di preoccupazione: sarebbe riuscita bene la serata? Era la prima volta che si cimentava nella cucina transalpina e temeva che la sua inesperienza rovinasse tutto il lavoro che aveva fatto in precedenza.
Ma d’altra parte non c’era alternativa, era un doveroso omaggio che andava reso alla giovane e gentile ragazza francese che il mese precedente lui aveva ucciso conosciuto durante le sue vacanze a Saint Jean Cap Ferrat. Era una francesina morbida, che aveva ucciso, macellato e tagliato a pezzi, senza fatica, con la spada di suo padre. E che adesso stava per diventare una squisita pietanza.