Dai coltelli agli abbracci.
Tra
sporcizia, povertà e malaffare,
nella strada delle bische e dei
bordelli,
nei miseri sobborghi dove si accroccano gli emigranti di
tutta Europa,
nasce il tango.
Lontani da casa,
smarriti in
una babele di lingue,
senza un soldo in tasca,
sotto le
stelle di un cielo sconosciuto,
due milioni di nuovi
residenti
ringhiano e si annusano come cani diffidenti,
si
radunano in cricche malavitose,
si azzuffano e si ammazzano nei
vicoli,
si scontrano e si incontrano.
Le culture cominciano a
contaminarsi.
I bellimbusti dei bassifondi parlano in codice,
utilizzano un dialetto nuovo, il Lunfardo,
un misto tra
italiano, francese e tedesco.
La lingua degli emarginati.
Si
pavoneggiano, raccontano le storie delle loro imprese criminali.
E
quando quelle storie si imbattono nelle chitarre dei gauchos,
diventano canzoni.
E le canzoni si sa, si ballano.
Il tango a quel tempo
è un ragazzino arrogante,
un bulletto di
periferia,
un digrignare di denti,
una filastrocca sconcia su
un ritmo sincopato,
è la rabbia dei diseredati,
un duello
uomo contro uomo
– affondo e schivata! -
una danza dei
coltelli.
Cambia
nel momento in cui incontra l'amore e le sue pene.
Cambia
quando il succedersi degli anni
attenua gli ardori e lascia
spazio alle disillusioni.
Cambia e canta il dolore di un affetto
perduto,
il declino della vecchiaia,
la delusione per un
desiderio irrealizzato.
Il ballo non è più una
sfida virile,
è un continuo prendersi e lasciarsi fra due
innamorati,
l'ultima stretta prima di un altro addio.
Il tango a quel tempo
è una donna sola che osserva l'alba,
è l'attesa di un ritorno,
un pianto silenzioso,
è il sospiro di un innamorato timoroso,
una nostalgia piena di speranza,
è un'attrice drammatica talmente bella e triste
che non si può fare a meno di notarla.
è l'attesa di un ritorno,
un pianto silenzioso,
è il sospiro di un innamorato timoroso,
una nostalgia piena di speranza,
è un'attrice drammatica talmente bella e triste
che non si può fare a meno di notarla.
Entra nel cuore dei rampolli di buona famiglia,
viaggia: arriva a New
York, poi in Europa,
nei palazzi di Madrid, nei caffè di
Parigi.
La sua musica si muove lenta, voluttuosa,
elegante e
discreta come un'amante raffinata.
La sua maturità si veste di
passione,
di sguardi sensuali, di movenze ardite,
di stanze
lussuose, di frasi proibite.
Ma il tempo passa
e passano le mode.
La stanca diva ritorna a
casa.
Finisce cosí?
No, il tango non è una vecchia star
imbolsita e
decadente:
è ancora quel ragazzino irriverente,
ancora quella
donna inquieta,
ed è un genitore amorevole che ci tiene fra le
sue braccia,
è il tratto di identità comune della gente
argentina,
è la calce che ha unito diverse culture
e ne ha
fatto una nazione.
Il tango oggi
è un insegnante senza tempo
che non si stanca di
impartirci la sua lezione:
che possiamo scongiurare
il ripetersi e ripetersi ancora
della
storia di Caino che continua a uccidere Abele,
che popoli
differenti
possono diventare un unico popolo,
se solo
decidiamo di riporre il coltello
e ci consegniamo l'un l'altro
in
un abbraccio.