giovedì 11 giugno 2015

Il tango a quel tempo.

Dai coltelli agli abbracci.





Tra sporcizia, povertà e malaffare,
nella strada delle bische e dei bordelli,
nei miseri sobborghi dove si accroccano gli emigranti di tutta Europa,
nasce il tango.

Lontani da casa,
smarriti in una babele di lingue, 
senza un soldo in tasca, 
sotto le stelle di un cielo sconosciuto,
due milioni di nuovi residenti
ringhiano e si annusano come cani diffidenti, 
si radunano in cricche malavitose, 
si azzuffano e si ammazzano nei vicoli,
si scontrano e si incontrano.
Le culture cominciano a contaminarsi. 
I bellimbusti dei bassifondi parlano in codice, 
utilizzano un dialetto nuovo, il Lunfardo,
un misto tra italiano, francese e tedesco.
La lingua degli emarginati. 
Si pavoneggiano, raccontano le storie delle loro imprese criminali. 
E quando quelle storie si imbattono nelle chitarre dei gauchos, 
diventano canzoni. 
E le canzoni si sa, si ballano. 

Il tango a quel tempo
è un ragazzino arrogante,
un bulletto di periferia, 
un digrignare di denti, 
una filastrocca sconcia su un ritmo sincopato, 
è la rabbia dei diseredati, 
un duello uomo contro uomo 
– affondo e schivata! - 
una danza dei coltelli. 

Cambia
nel momento in cui incontra l'amore e le sue pene. 
Cambia quando il succedersi degli anni 
attenua gli ardori e lascia spazio alle disillusioni. 
Cambia e canta il dolore di un affetto perduto, 
il declino della vecchiaia, 
la delusione per un desiderio irrealizzato. 
Il ballo non è più una sfida virile, 
è un continuo prendersi e lasciarsi fra due innamorati, 
l'ultima stretta prima di un altro addio.

Il tango a quel tempo
è una donna sola che osserva l'alba, 
è l'attesa di un ritorno, 
un pianto silenzioso, 
è il sospiro di un innamorato timoroso, 
una nostalgia piena di speranza, 
è un'attrice drammatica talmente bella e triste 
che non si può fare a meno di notarla.

Entra nel cuore dei rampolli di buona famiglia,
viaggia: arriva a New York, poi in Europa,
nei palazzi di Madrid, nei caffè di Parigi.
La sua musica si muove lenta, voluttuosa,
elegante e discreta come un'amante raffinata.
La sua maturità si veste di passione, 
di sguardi sensuali, di movenze ardite,
di stanze lussuose, di frasi proibite.

Ma il tempo passa
e passano le mode.
La stanca diva ritorna a casa. 

Finisce cosí?
No, il tango non è una vecchia star 
imbolsita e decadente:
è ancora quel ragazzino irriverente, 
ancora quella donna inquieta, 
ed è un genitore amorevole che ci tiene fra le sue braccia, 
è il tratto di identità comune della gente argentina, 
è la calce che ha unito diverse culture 
e ne ha fatto una nazione.

Il tango oggi
è un insegnante senza tempo 
che non si stanca di impartirci la sua lezione: 

che possiamo scongiurare
il ripetersi e ripetersi ancora 
della storia di Caino che continua a uccidere Abele, 
che popoli differenti 
possono diventare un unico popolo, 
se solo decidiamo di riporre il coltello 
e ci consegniamo l'un l'altro
in un abbraccio.