GLOCK
Racconto 3° classificato al concorso Giallo Miele 2012
1.
Ho preso la padella e con il mestolo di legno ho messo il fricandò
nel piatto fondo. Il profumo dei peperoni ha dato una scossa al mio
torpore. Prima di versare il contenuto nel piatto, ho letto il nomedel fiore
che vi è disegnato: Ophrys speculum, un’orchidea. Per chi non lo sapesse le
orchidee non sono un fiore, ma una filosofia. Io non sono né un fiore e
tantomeno un filosofo invece, per cui non riesco a coglierne il
significato metafisico. Le rispetto, per motivi che non riguardano
l’aspetto puramente estetico o legato alla difficoltà nella coltura, ma
non me ne intendo. So per sentito dire tra l’altro che vengono
utilizzate per scopi terapeutici, come emolliente consigliato nelle
diarree infantili. Perché lo so?, chi lo sa…bisogna pur passare il tempo e
nella nostra era moderna il personal computer ti dà la possibilità di
farti una cultura sommaria sulla destra e sulla manca, sapendo un poco di
tutto e un cazzo di niente. Forse lo so perché di riffa o di raffa penso
che la diarrea sia lo stato mentale che al momento mi accompagna, in
questo luglio afoso. Sono un killer, professionista. Come tutte le persone
di questo mondo ho una testa con capelli sopra, non comune a tutte le
persone del mondo. Intendo non che la mia testa sia sopra la media di
dimensione o con un quoziente intellettivo alla Sharon Stone
(che pare lo abbia alto) ma che ho i capelli. Ciò non appartiene
alla maggioranza degli uomini della mia età. Sono un killer, professionista,
con il vizio di pensare che avere i capelli vuol dire avere le storia, per
un uomo. La propria storia, a portata di
specchio. Perché solo grazie ai capelli è possibile il
confronto tra quando tutto ti andava per il verso giusto, ed erano corvini
come il sedere di un cavallo da dressage, e quando tutto ti va di
traverso come un uovo sodo, e sono bianchi come un martini. Bianco come il
mio colletto, da impiegato. Ho un’ossessione, posso dire che non sono le
orchidee o la peperonata, ma il fatto che non posseggo la fortuna di
quelli che riescono a fare il proprio amato mestiere tutte le mattine. Non
ho la fortuna di potere pianificare le ferie o le festività soppresse, il
natale e il cucù, che non vuol dire nulla se non la scelta di prendersi un
permesso per farsi i fatti propri. Perché io non posso fare il killer
tutti i giorni, purtroppo. Cosa che mi piacerebbe davvero, il sogno realizzato
da quando ero ragazzo mentre leggevo Segretissimo. Io le ferie le devo
pianificare in ufficio, la mia copertura, per non lasciare dei buchi sulle
attività; mi farei un buco in testa a pensarci, se non fosse che la prima regola
del killer è quella di non farsi ammazzare. Tanto meno dalla società moderna.
2.
Non poter esercitare giornalmente la professione in cui sei
il migliore ti fa diventare un po’
paranoico. Che io sia il migliore lo penso da solo, non c’è una
classifica dei killer come all’Olimpiade: per fare certi mestieri bisogna
essere egocentrici e bisogna sopravvivere, anche a costo di essere
scortesi. Non soffermarsi a dire ad una vittima “Coraggio, fatti ammazzare”,
ma sparare senza fiatare. Alcuni romantici lasciano un cadeau di ricordo,
alla Occhi di Gatto, ma dopo un po’ muoiono. Io no. Io non sono un
romantico e ci tengo a vedere i miei capelli diventare tutti bianchi. Sono
uno che porta a casa il risultato ed ha come obiettivo solo di piacere a sé
stesso. Se non sono egocentrico del resto mi accoppano.
3.
Dicevo della paranoia. Per dare un’idea sono diventato amante
della Formula 1 perché ho scoperto che un pilota si chiama Glock.
Tutt’altro che un campione, perciò lasciai perdere. Non tutte
le Glock escono col buco. L’importante però è che la mia ce
l’abbia, il buco: quello della canna intendo.
4.
La mia psichiatra, che mi dà dello schizofrenico, mi consiglia di
scrivere per alleviare le sofferenze di credersi un killer a tempo parziale;
quando non ho davanti a me un obiettivo, da accoppare, il mio obiettivo si
riduce a riempire delle pagine a mo’ di purgante, per purificare la mia mente
obnubilata dai pensieri “malavitosi”.
5.
“La smetta di pensare di vivere a Marsiglia”, mi è solita dire la
Carla. Come se s’ammazzasse solo a Marsiglia. Ma la vita è un parapiglia
anche se non si vive a Marsiglia, così come ci sono bari anche fuori da
Bari. Vai a farlo capire alla dottoressa.
Bella donna, sulla quarantina anche lei, i cui capelli definirei
rosso magenta se non fossi daltonico. Magari sono castani castagna. Me
l’ha consigliata Antonio, il mio unico vero amico, anche perché è mio
fratello. A lui ho confidato la mia trama, raccontandogliela un po’
naif, per non scoprirmi troppo. Tanto sono certo che mi prende per
eccentrico all’inverosimile e non gli dà credito di un centesimo. E
poi è riservato di natura. Mi ha sempre visto come l’anello di congiunzione tra
l’uomo e il pagliaccio, uno nato per far ridere intendo, ma che non è mai
riuscito a dare libero sfogo alla sua reale natura. Per un certo verso ci
ha preso, e preoccupato ha fatto quello che un buon fratello maggiore
deve al minore: aiutarlo. In questo caso mandandomi da una
strizzacervelli amica sua.
“Hermano, fammi ‘sto favore va. Manco la paghi che c’ho degli
affari con quella. Sai, un po’ di qua un po’ di là, meglio tenere il piede
in più scarpe”, e mi ha strizzato l’occhio. Diavolo pure lui. Mica me
l’aspettavo che c’avesse di queste tresche. Da uno che fa il broker
d’assicurazioni, al massimo, t’aspetti che gli si macchi la camicia di pezze
d’ascella.
6.
Buonanotte caro diario, ci vediamo domani, credo di aver scritto a
sufficienza stasera, purtroppo mi stanco a fare quello di cui non sono
capace e non sono un killer sentimentale, così come mi stanco di te, che
dovrai essere la mia coperta di Linus.
Silenzio, poi: “Bang Bang!”.
“Cos’è successo?”.
Niente, creavo solo un po’ di suspense per me stesso…
7.
Siccome non sono uno scrittore, ti dovrai sorbire
ripetizioni, appiattimenti della storia o veloci
accelerate di ritmo - scusa sono sotto psicofarmaci - oppure a
volte perifrasi quali “'l’tristo
sacco /che merda fa di quel che si trangugia” per indicare lo stomaco
ovvero volgari parolacce da scaricatore di fronte ad un porto. Quando ero
a scuola ero forte nella scrittura dei temi, ma dovevo sviluppare il titolo per
dare la mia opinione al maestro; che poi a lui non piacesse, è un’altra
storia. Diceva sempre a mia madre che stavo alla genialità come un tonno
sta al delfino… è chiaro? Ora, forse è vero che non ero un genio, ma un
bambino deve per forza essere un genio per prendere sei in un saggio di
italiano? A me piace più pensarmi come un pesce siluro, che non guarda in
faccia a nessuno quando deve arrivare alla sua preda. Leggende
dicono che fagociti anche cani, sommozzatori, scarpe Prada e
via dicendo. E’ quindi un pesce democratico, che non concede privilegi
alla propria preda, quello di sentirsi predata perché importante. Diversa è la
nostra società: anche e soprattutto nel mio mestiere, ci sono maschi alfa
e maschi beta, di maschi omega è pieno il mondo ma non serve ammazzarli,
la plebaglia fa sempre comodo ai capibranco. Quindi, non divaghiamo
appunto, scusa il pluralia maiestatis, ma hai già capito che soggetto sono,
anche perché te l’ho detto io. “Io!… il
più lurido di tutti i pronomi!… I pronomi! Sono i pidocchi del pensiero. Quando
il pensiero ha i pidocchi, si gratta come tutti quelli che hanno i pidocchi…e
nelle unghie, allora…ci ritrova i pronomi: i pronomi di persona”.
Ora, sei d’accordo con questa frase?, non l’ho scritta io
naturalmente, e sottolineo il naturalmente oltreché l’io. Ma vorrei solleticare
la tua intelligenza. Ogni tanto quindi riporterò una citazione, per farti
pensare a me anche quando ti avrò chiuso Diciamo che, visto che mi danno
dello schizofrenico, voglio farti sentire perseguitato un po’ anche a te. Ma… non
divaghiamo per davvero. La Carla mi ha consigliato di tenere un diarietto,
una pagina al giorno, per scrivere il mio zibaldone di idee, con il
preciso fine di aiutarmi a liberare la mente dall’idea di essere un killer
inattivo e quindi frustrato. Il fatto che mi porta a farlo sul serio, lo scrivere
intendo, è che io sono frustrato per davvero! Perché oltre a
non potere esercitare il mio mestiere quotidianamente lavoro
sotto copertura per una banca, come analista interno. Questo comporta
alla mia frustrazione originale anche la frustrazione tipica
dell’impiegato medio, che definirei meglio come impiAgato, tanto per
rendere l’idea. La vita dell’impiAgato è come una sciarada monca in
cui si deve scoprire solo quale lettera sostituire alla “X” nella parola
“MerXa”. Non so se fila il ragionamento, ma ho accettato la scelta di scrivere.
E poi una paginetta al giorno non è niente. E’ dura dover timbrare ogni
giorno un cartellino se sai di essere più svelto di Terence Hill a
maneggiare la colt. Che colpi potrebbero partire tutti i giorni da questa mano,
la mano sinistra del diavolo, bang. Mi parte un sorriso ora, fugace come una
passante che non rivedrai mai più. Meglio lasciare perdere i sogni, sennò
dal nervoso mi parte un ponte.
8.
Certo che scrivere a ruota libera non è poi
tanto difficile. Diverso è provare a descriversi.
Fisicamente, caratterialmente, geomorfologicamente (certe persone
hanno una pelle nel viso che sembra il lascito di un’eruzione del Teide),
“Porta gli occhiali, il cappello com’è: ma è Jack, ecco chi è!”. Arrivare
alla buona rappresentazione di Jack non è poca cosa, in questo caso, che poi
non è un caso, ma più che altro un caos. Cambiando l’ordine degli addendi
il risultato cambia eccome. Prova a dare un giudizio, anche solo con un
aggettivo differente, e vedrai che tutto scorre diverso, dammi un
aggettivo d’appoggio e solleverò il mondo del tuo giudizio:
Jack era alto. Barba rasata con i
baffi alla siciliana, sguardo sciupato, i capelli neri con alcuni
ciuffi grigi aggiustati con una
riga retrò, qualche chilo di troppo sul ventre.
Jack era bassetto. Barba rasata
con i baffi alla siciliana, sguardo sciupato, i capelli neri con alcuni ciuffi
grigi aggiustati con una riga retrò, qualche chilo di troppo sul ventre.
Nel primo caso si parla di un uomo che ha la più importate
caratteristica che gli fa possedere mezza bellezza. La restante parte
della descrizione è un corredo di nozze, le nozze coi fichi secchi; non
si dice l’età, ma dev’essere sulla quarantina, ha lo sguardo sciupato,
perché sciupa le femmine o la vita appresso a qualcosa d’altro non
si sa. E’un esteta, amante di sé stesso, porta i baffi curati, questo è
conclamato. I capelli, ne abbiamo già parlato in precedenza. Alto e
sciupato dagli avvenimenti è già affascinate di per se. Bassetto e
sciupato sembra la descrizione di un tappeto turco di un vecchio hamman.
Ecco, l’uomo del secondo caso nella mia testa è per esempio un turco, stanco
per la giornata passata a scaricare e caricare datteri al mercato, che porta i
baffi sì, ma per tradizione e non per estetica e li ha alla siciliana
perché è mezzo glabro sul viso. E’ sciupato come l’altro, ma dalla
quotidianità. Entrambi hanno qualche chilo in più, ma io perché non si è mai
visto un killer che beve latte, solo nel cinema. Il turco perché la sera
mangia sino all’orlo per non moriresenza sapore. Di aglio, che tiene lontani i
vampiri della vita.
9.
Sono un killer, professionista, il cui nome in codice è Jack. Il
mio vero nome però è Giacomo Lai.
10.
“Io voglio alzarmi ora, e
voglio andare, andare ad Innisfree, e costruire là una capannuccia fatta d’argilla
e vimini: nove filari e fave voglio averci, e un alveare, e vivere da solo
nella radura dove ronza l’ape”. Quanto mi ha fatto compagnia la
musicalità di questi versi di Yeats nel corso della mia vita. Io ape
regina della mia famiglia, il più piccolo e il più venerato. Da sempre mangio
miele a man bassa, forse nell’errore di credermi immortale come gli dei
dell’antica Grecia, gli unici che potevano cibarsi di ambrosia a quei
tempi. Io che ne ho bisogno davvero per sperare di alzarmi dal mio letto
la mattina, e non svegliarmi invece in un letto di sangue. Seppur dolce, non è
mai divino come il miele.
50.
Credo di non farcela più. Ho strappato tante pagine, un raptus.
Due mesi di scritture mie personali. Ho il mio motivo oltre al solito, ed
è tremendo. Sfogo: Mi sembra di scrivere il mio coccodrillo. La mia
estrema unzione. Il mio eterno riposo, che donerai a me o Signore, e risplenda
a lui il fuoco perpetuo delle fiamme blu dell’inferno. Amon. Termino
questo necrologio con la storpiatura dell’amen, una blasfemia forse, ma
non voglio che “così sia”. Prosit anzi, alla mia salute dovrei brindare,
che sono ancora nel fiore degli anni ma stanziato in una stanza buia e ancora
distanziato dallo zio Sam, che non mi dice più “I want you” per fare il
mio dovere, nemmeno ora che non è necessario un mandante.
51.
Ho preso l’accendino ed ho acceso il gas.
Una fiammata mi ha cotto qualche pelo del braccio, espandendo
un profumo di pelle di pollo abbrustolita che ha coperto quello del mio
dopobarba denim, acre ed alcoolico per l’uomo che non deve chiedere mai.
Io infatti non ho mai chiesto niente a nessuno, sono gli altri che mi
cercano per fare fuori degli altri ancora. La pubblicità è la vera sesta arte.
Abbassata la fiamma, mi sono reso conto di essere mortale per davvero.
Ora lo so: la mia recente disillusione è riuscita a togliermi
il giubbetto antiproiettile e rendermi già vulnerato. Sono andato in bagno
e ho preso un ferro per fare la maglia, comperato il giorno prima in un
vecchio negozio in via Belmeloro. La ragazza che me l’ha venduto non mi ha
chiesto il perché o il percome un uomo si è preso la briga di comperare un
oggetto tipicamente utilizzato dalle donne. Una persona riservata. Non ce
ne sono tante al giorno d’oggi. Ho appoggiato il ferro sul fornello, metallo
contro metallo. Bene, il gioco è fatto, quanto è semplice farla finita se
uno vuole farlo in silenzio, seduto sul divano di casa con della buona
musica. Gian Maria Testa, il suo caldo sussurro e i pizzichi di chitarra
mi è sembrato adatto. Rispettoso ed educato, o meglio edulcorante. E’ così
semplice andare nei campi elisi che basta perforarsi un polmone con un
ferro da maglia incandescente. Lo si può fare da soli, senza aiuto. Self
made killer. E’ molto doloroso, una scelta per uomini veri, io infatti uso
il denim, non per mezzeseghe che si rifanno le sopracciglia e poi si
passano il Lasonil sopra perché gli brucia.
52.
Ho pensato a questo modo per inscenare un omicidio per la mia
prossima terapia suggerita dalla Carla. Lo psicodramma. Stavo quasi per
prenderci gusto alla fine, meno male che Testa ha finito di cantare e mi
sono rimesso la testa sulle spalle. La condizione in cui mi trovo è proprio
fuori dal tempo. Distortion.
53.
Quando Carla ha parlato dello psicodramma mi è venuto mezzo da
ridere. Per rispetto del ruolo naturalmente hanno riso solo i miei occhi:
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi che tu venga all'ospedale o in
prigione nei tuoi occhi porti sempre il sole.
54.
“E’ una terapia di gruppo ideata da J. Levi Moreno. Si inscena un
gioco drammatico e si mira a sviluppare la spontaneità dei pazienti
facendo emergere i loro vissuti personali, grazie a improvvisazioni
sceniche. Il "direttore del gioco" è lo psicoterapeuta che
analizza tutto quanto accade”, mi ha spiegato la Carla. Sono proprio un
ignorante, io al massimo potrei citare Levi Strauss, ovvero Michael J. Fox
in “Ritorno al futuro”. La Carla finito di parlare si è alzata e si
è guardata i jeans soddisfatta, riflesso incondizionato o
condizionato?
55.
“Giacomo, con questa ultima terapia possiamo considerare terminata
la nostra analisi”, mi ha detto la Carla l’ultima volta che ci siamo
visti. A me non sembrava tanto di stare meglio, ma è pur vero che la
nostra “analisi” è tutta basata su una falsa rappresentazione della realtà; lei
pensa che io sia un pazzo che crede di essere un killer, mentre io so di
essere veramente un killer che sta diventando pazzo per altri motivi,
soprattutto l’ultimo in ordine di tempo. “Alla messa in scena parteciperà
oltre a me, in veste di direttore del gioco, anche un altro paziente che
eserciterà il ruolo di vittima. E’ ben inteso che la sua diagnosi è di
schizofrenia acuta”. Il tizio pare che abbia il timore di essere intercettato
dalla CIA, non si sa per quale motivo, e che la sua vita sia continuamente “in
pericolo”. SAS: Sua Altezza Stronzissima. A pensarci bene mi fa una
grande tristezza l’idea di ridurmi ad inscenare un finto omicidio,
“Anche i killer piangono”, da granguignolesco che ero ora
sono diventato una marionetta nello stesso teatrino di un povero relitto
della società umana, quintessenza del disgraziato.
56.
Avrei ancora tante altre pagine da scrivere in questo
diario, perché vada come vada con questo psicodramma la mia vita è oramai
un dramma davvero, da prima pagina in Cronaca Vera, e delle pastiglie non
posso più fare a meno per riuscire ad accettarmi per quello che sono, nemmeno
per digerire questa ultima “frittata” che mi ha cucinato Antonio, amara
come il radicchio trevigiano. A domani mondo, questa sera niente miele per
me.
***
Rapporto n. 25021978 da parte
dell’agente nome in codice Painkiller - 20 Ottobre 2012,
Milano.
Si comunica l’esito positivo della missione affidatami. Stop.
Segue rapporto. Stop.
Giacomo Lai, killer freelance
meglio conosciuto come “Jack”alias “Il bello del quartierino” alias
“Filastrocca” di seguito “il
soggetto”, catalogato dall’agenzia come - Rating pericolosità: AA+- ,
è stato terminato in data 19 cm alle
ore 10:08. Il soggetto è stato mantenuto sotto falsa cura
psichiatrica presso la nostra
sede di copertura in via Gian Galeazzo Sforza 17, Milano dalla data del 16
Agosto 2012 sino alla data del termine sovra indicata. Lai Antonio, nostro
agente segreto di stanza a Cinisello Balsamo e consanguineo del soggetto,
è stato attore fattivo nella buona riuscita dell’esito della missione. Il
Lai Antonio, in virtù delle elevate arti di persuasione apprese presso le nostre
scuole di specializzazione in Indocina e, in seconda istanza, della mal posta
fiducia che riponeva il soggetto nel medesimo, ha
abilmente spinto il soggetto stesso a sottoporsi a
visite periodiche presso la nostra sede di via Gian Galeazzo Sforza 17,
Milano, con il fine di alleviare le ininterrotte crisi di ansia di cui il
soggetto ha confidato al nostro agente soffrire da anni. Il nostro collaboratore,
con adamantino senso del dovere, non ha esitato a cogliere nelle confidenze
del soggetto uno spiraglio per potere dare avvio alla missione nelle more
poi inscenate, considerando agli effetti nullo anzi infangante ogni legame
con il fratello alla luce delle apprese di lui attività criminali.
Nelle citate sedute, con la sottoscritta sotto mentite spoglie di medico
psichiatra, è stata praticata al soggetto la tecnica dell’ipnosi zurlina,
con il preciso obiettivo di estrapolare al soggetto ogni
informazione utile alle nostre necessità, per il bene di Patria e della
continua pace mondiale. Non era difatti funzionale alla nostra missione
attivarsi con il termine del soggetto senza operare un solo tentativo di
manipolazione della di lui mente, per carpire ogni utile segreto finalizzato
alla nostra sicurezza. Il tentativo, effettuato tramite ipnosi in prima istanza
ed in seguito indotto tramite autoconfessione scritta, è
malauguratamente naufragato ad un “Senza esito”.
Appurato che la corteccia
cerebrale del soggetto si è rivelata impenetrabile nonostante le più alte tecniche
di manipolazione in nostro possesso, è stata mia precisa indicazione avviare il
temine del soggetto. Nella data sopra indicata, il soggetto è stato
condotto in un’ala dello studio di via Gian Galeazzo Sforza 17, Milano
all’ uopo insonorizzata, ove è stato incoraggiato ad inscenare una simulazione
di omicidio per psicodramma (tecnica psicologica che abbiamo ipotizzato
essere funzionale ai nostri fini) di fronte alla sottoscritta e ad un
secondo paziente, il nostro agente scelto Abdul Karim Sukur alias “Il
turco” sotto mentite spoglie. Non appena il soggetto si è avvicinato al nostro
agente scelto impugnando un ferro da maglia con il preciso
intento di operare il falso omicidio, “il turco” ha estratto
dalla fondina una Beretta modello Px4 Storm SD Type F fusto acciaio
silenziata di ordinanza, con la quale ha inferto al soggetto un colpo
mortale nel centro dell’osso frontale del cranio. A temine
avvenuto, l’agente Lai Antonio ha effettuato una perlustrazione
nell’appartamento del soggetto, non rilevando altro da porre agli atti se
non l’Allegato 1 al rapporto in corso. Nulla di rilievo è stato altresì
riscontrato negli abiti indossati dal soggetto il giorno del suo termine,
se non un biglietto nella tasca interna della giacca che riportava la
seguente frase:
- Vedo la luna, vedo le stelle,
vedo Caino che fa le frittelle, vedo la tavola apparecchiata, vedo Caino
che fa la “frittata” -
La carta, da analisi al
microscopio, è risultata essere intrisa di acqua e di contenuto salino.
Nessun commento:
Posta un commento